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Saba, Umberto: Prima fuga

Saba, Umberto portréja

Prima fuga (Olasz)

La vita, la mia vita, ha la tristezza

del nero magazzino di carbone,

che vedo ancora in questa strada. Io vedo,

per oltre alle sue porte aperte, il cielo

azzurro e il mare con le antenne. Nero

come là dentro è il mio cuore; il cuore

dell’uomo è un antro di castigo. È bello

il cielo a mezzo la mattina, è bello

il mar che lo riflette, e bello è anch’esso

il mio cuore: uno specchio a tutti i cuori

viventi. Se nel mio guardo, se fuori

di lui, non vedo che disperazione,

tenebra, desiderio di morire,

cui lo spavento dell’ignoto a fronte

si pone, tutta la dolcezza a togliere

che quello in sé recherebbe. Le foglie

morte non fanno a me paura, e agli uomini

io penso come a foglie. Oggi i tuoi occhi,

del nero magazzino di carbone,

vedono il cielo e il mare, al contrasto,

più luminosi: pensa che saranno

chiusi da domani. Ed altri s’apriranno,

simili ai miei, simili ai tuoi. La vita,

la tua vita a te cara, è un lungo errore,

(breve, dorato, appena un’illusione!)

e tu lo sconti duramente. Come

in me in questi altri lo sconto: persone,

mansi animali affaticati; intorno

vadano in ozio o per faccende, io sono

in essi, ed essi sono in me e nel giorno

che ci rivela. Pascerti puoi tu

di fole ancora? Io soffro, il mio dolore,

lui solo, esiste. E non un poco il blu

del cielo, e il mare oggi sì unito, e in mare

le antiche vele e le ormeggiate navi,

e il nero magazzino di carbone,

che il quadro, come per caso, incomincia

stupendamente, e quelle più soavi

cose che in te, del dolore al contrasto,

senti - accese delizie - e che non dici? 

Troppo temo di perderle; felici

chiamo per questo i non nati. I non nati

non sono, i morti non sono, vi è solo

la vita viva eternamente; il male

che passa e il bene che resta. Il mio bene

passò, come il mio male, ma più in fretta

passò; di lui nulla mi resta. Taci,

empie cose non dire. Anche tu taci,

voce che dalla mia sei nata, voce

d’altri tempi serena; se puoi, taci;

lasciami assomigliare la mia vita

- tetra cosa opprimente - a quella nera

volta, sotto alla quale un uomo siede,

fin che gli termini il giorno, e non vede

l’azzurro mare - oh, quanta in te provavi

nel dir dolcezza - e il cielo che gli è sopra.



FeltöltőP. T.
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