Manzoni, Alessandro: Coro dell'Atto quarto
Coro dell'Atto quarto (Olasz)Sparsa le trecce morbide Sull'affannoso petto, Lenta le palme, e rorida Di morte il bianco aspetto, Giace la pia, col tremolo Sguardo cercando il ciel.
Cessa il compianto: unanime S'innalza una preghiera: Calata in su la gelida Fronte, una man leggiera Sulla pupilla cerula Stende l'estremo vel.
Sgombra, o gentil, dall'ansia Mente i terrestri ardori; Leva all'Eterno un candido Pensier d'offerta, e muori: Fuor della vita è il termine Del lungo tuo martir.
Tal della mesta, immobile Era quaggiuso il fato: Sempre un obblio di chiedere Che le saria negato; E al Dio de' santi ascendere Santa del suo patir.
Ahi! nelle insonni tenebre, Pei claustri solitari, Tra il canto delle vergini, Ai supplicati altari, Sempre al pensier tornavano Gl'irrevocati dì;
Quando ancor cara, improvida D'un avvenir mal fido, Ebbra spirò le vivide Aure del Franco lido, E tra le nuore Saliche Invidiata uscì:
Quando da un poggio aereo, Il biondo crin gemmata, Vedea nel pian discorrere La caccia affaccendata, E sulle sciolte redini Chino il chiomato sir;
E dietro a lui la furia De' corridor fumanti; E lo sbandarsi, e il rapido Redir de' veltri ansanti; E dai tentati triboli L'irto cinghiale uscir;
E la battuta polvere Riga di sangue, colto Dal regio stral: la tenera Alle donzelle il volto Volgea repente, pallida D'amabile terror.
Oh Mosa errante! oh tepidi Lavacri d'Aquisgrano! Ove, deposta l'orrida Maglia, il guerrier sovrano Scendea del campo a tergere Il nobile sudor!
Come rugiada al cespite Dell'erba inaridita, Fresca negli arsi calami Fa rifluir la vita, Che verdi ancor risorgono Nel temperato albor;
Tale al pensier, cui l'empia Virtù d'amor fatica, Discende il refrigerio D'una parola amica, E il cor diverte ai placidi Gaudii d'un altro amor.
Ma come il sol che, reduce, L'erta infocata ascende, E con la vampa assidua L'immobil aura incende, Risorti appena i gracili Steli riarde al suol;
Ratto così dal tenue Obblio torna immortale L'amor sopito, e l'anima Impaurita assale, E le sviate immagini Richiama al noto duol.
Sgombra, o gentil, dall'ansia Mente i terrestri ardori; Leva all'Eterno un candido Pensier d'offerta, e muori: Nel suol che dee la tenera Tua spoglia ricoprir,
Altre infelici dormono, Che il duol consunse; orbate Spose dal brando, e vergini Indarno fidanzate; Madri che i nati videro Trafitti impallidir.
Te, dalla rea progenie Degli oppressor discesa, Cui fu prodezza il numero, Cui fu ragion l'offesa, E dritto il sangue, e gloria Il non aver pietà,
Te collocò la provida Sventura in fra gli oppressi: Muori compianta e placida; Scendi a dormir con essi: Alle incolpate ceneri Nessuno insulterà.
Muori; e la faccia esanime Si ricomponga in pace; Com'era allor che improvida D'un avvenir fallace, Lievi pensier virginei Solo pingea. Così
Dalle squarciate nuvole Si svolge il sol cadente, E, dietro il monte, imporpora Il trepido occidente; Al pio colono augurio Di più sereno dì.
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